A distanza di un mese dalla chiusura dei lavori dei Vescovi, attorno alle “Sfide pastorali sulla famiglia nel contesto dell’evangelizzazione”, possiamo raccogliere qualche elemento utile per rileggere ciò che è avvenuto, e proseguire a livello di comunità locali il dibattito.

Innanzitutto nella scelta del titolo, stupiva e ancora stupisce la scelta del termine “sfide” che secondo il dizionario Treccani, indica l’invito ad una competizione sportiva, oppure un uso in accezione provocatoria; davvero siamo alle prese con un match o con una provocazione?

Per comprendere le ragioni di questa preferenza però, non è sufficiente sfogliare un vocabolario, piuttosto è necessario riconoscere l’esistenza di una serie di questioni inedite e molteplici che hanno toccato la famiglia in questi ultimi 30-40 anni (di natura sociale, culturale, religiosa, antropologica, etica, …), e che chiamano la comunità cristiana a dire una parola su di essa, non l’unica né tantomeno la conclusiva.

Detto altrimenti, la Chiesa non si pone davanti a minacce, ma di fronte ad interrogativi sulla complessità del tema famiglia, che Papa Francesco traduce col termine sfide, da raccogliere però nel contesto  dell’evangelizzazione, cioè di una buona notizia di cui la comunità cristiana è portatrice per la famiglia stessa.

“Ho chiesto al Papa perché un nuovo Sinodo sulla famiglia, dopo quello del 1980, e dopo l’esortazione di Giovanni Paolo II «Familiaris consortio» – spiegava in una intervista di gennaio ’14 il card. Mariadaga, arcivescovo honduregno e suo consigliere – e Francesco ha risposto: quello accadeva trent’anni fa, oggi la famiglia di allora per la maggior parte delle persone non c’è quasi più. Abbiamo separazioni, famiglie allargate, molte persone che crescono da sole i figli, maternità in affitto, matrimoni senza figli, senza dimenticare le unioni delle persone dello stesso sesso. Nel 1980 queste cose non erano nemmeno all’orizzonte. Tutto questo richiede risposte per il mondo di oggi – continua Maradiaga – e non basta dire: per questo abbiamo la dottrina tradizionale. Ovviamente la dottrina tradizionale verrà mantenuta, ma ci sono «sfide pastorali» adatte ai tempi alle quali non si può rispondere con l’autoritarismo e il moralismo, perché questa non è nuova evangelizzazione”.

Poste le ragioni e il senso dell’oggetto del Sinodo, ora ci chiediamo: in quali modi potrò pormi davanti a una sfida, quali le mie possibili reazioni? Potrò bloccarmi, in preda alla paura (restando immobile, come paralizzato), mi proteggerò facendo finta che la sfida in realtà non esista (cioè negandola), mi difenderò da essa nel tentativo di farmi meno male possibile (evitando il nuovo che mi spaventa, e riproponendo ciò che ho sempre fatto e pensato), oppure la affronterò tentando di vincere il nemico (usando violenza e generando conflitto).

La lezione del Concilio Vaticano II° aveva messo in circolo un modo differente di porsi davanti a questo genere particolare di sfide, quello di accettarle semplicemente perchè qualcuno le pone, e tentare di trasformarle in occasione di incontro nella fedeltà al Vangelo e alla Tradizione, di cui si è parte viva (in una dinamica in cui riconosco la sfida e mi pongo, non sopra-contro-senza l’altro, ma con-per l’altro da me: questa è la strada del dialogo attestata dal Vangelo che Papa Francesco ripropone).

Tutti questi diversi modi di affrontare le sfide, sono stati incarnati sia dentro che fuori l’aula sinodale (esemplare a proposito, molto più delle vivaci discussioni dei Vescovi, sarebbe confrontare la restituzione del dibattito raccontata da alcuni quotidiani e siti Internet), e non devono sorprenderci anzi, sono stati segno di vitalità, passione e discussione, ora all’insegna del blocco, della difesa e dell’attacco (applicando il Vangelo e ripetendo la Tradizione), ora con ricerca, ipotesi e dialogo (innescando il Vangelo e attivando la Tradizione); ingenuo e ingeneroso però sarebbe concludere parlando di scontro tra progressisti e conservatori, Vescovi aperti e Vescovi chiusi, perchè ricadremmo di nuovo in un modo di affrontare le sfide che esclude, divide e contrappone i protagonisti, e trattando invece di famiglia, come è noto, separare non è sempre la scelta migliore.

A questo proposito Papa Francesco, nel discorso conclusivo il Sinodo affermava: “Tanti commentatori, o gente che parla, hanno immaginato di vedere una Chiesa in litigio dove una parte è contro l’altra, dubitando perfino dello Spirito Santo, il vero promotore e garante dell’unità e dell’armonia nella Chiesa. Lo Spirito Santo che lungo la storia ha sempre condotto la barca, attraverso i suoi Ministri, anche quando il mare era contrario e mosso e i ministri infedeli e peccatori. E, come ho osato dirvi all’inizio, era necessario vivere tutto questo con tranquillità, con pace interiore anche perché il Sinodo si svolge cum Petro et sub Petro, e la presenza del Papa è garanzia per tutti. […] Quindi, la Chiesa è di Cristo – è la Sua Sposa – e tutti i vescovi, in comunione con il Successore di Pietro, hanno il compito e il dovere di custodirla e di servirla, non come padroni ma come servitori. […] Cari fratelli e sorelle, ora abbiamo ancora un anno per maturare, con vero discernimento spirituale, le idee proposte e trovare soluzioni concrete a tante difficoltà e innumerevoli sfide che le famiglie devono affrontare; a dare risposte ai tanti scoraggiamenti che circondano e soffocano le famiglie”.

Ecco quindi alcuni modi di porsi davanti alle sfide sulla famiglia, suggeriti da Francesco: non il litigio ma la fiducia, non la custodia ma il servizio, non la logica del tutto e subito ma di tutti in cammino, non il dejà-vuè ma occasioni di ricomprensione per la stessa comunità cristiana; come non ascoltare in tutto questo l’eco della stagione conciliare?

Un’ultima parola su una delle questioni più dibattute dai Vescovi, quella delle coppie in nuova unione: è interessante ricordare come già al precedente Sinodo sulla Famiglia del 1980, la proposizione 14 votata dai Vescovi a larga maggioranza (179 si, 20 no, 7 astensioni), affermava che: “Il Sinodo, nella sua preoccupazione pastorale per questi fedeli (divorziati risposati) auspica che ci si apra a una nuova e più profonda ricerca su questo argomento, tenendo conto anche della pratica dei vescovi d’oriente, in modo da mettere meglio in evidenza la misericordia pastorale”.

Dopo 35 anni, la speranza è che questo “auspicio” venga tradotto un giorno non lontano, in itinerario penitenziale che sbocchi in un riconoscimento ecclesiale della nuova relazione di coppia, dopo l’esperienza della separazione e del divorzio.

Paolo Tassinari (coord. “Anello Perduto”, Diocesi di Fossano)