Ostinarsi in un atteggiamento o in una scelta, a prima vista può essere indice di  irragionevolezza e inopportunità, e nel tempo può degenerare in ostinazione, cioè nel persistere in un proposito che svela testardaggine, insolenza e in ultimo violenza; l’artista e l’amante del genere musicale invece, avranno colto nell’ostinato non un assurdo, ma la figura melodica che nasce dalla prolungata ripetizione di una breve idea ritmica, sempre uguale e sempre quella, per questo immediata e istintiva.

Ostinato è Francesco nell’avvio e nello scorrere di ogni sua sinfonia, la più recente ascoltata solo sabato 4 ottobre, alla vigilia dell’inizio dei lavori del Sinodo straordinario sulla Famiglia, quando ha proposto ai Vescovi convenuti in Roma, le 3 chiavi musicali di uno spartito da scrivere a più mani: ascolto, confronto, sguardo.

La chiave dell’ascolto fissa le note decisive per la composizione che ha da venire, note entro le quali inserire l’ostinato: “Ascolto di Dio, fino a sentire con Lui il grido del popolo; ascolto del popolo, fino a respirarvi la volontà a cui Dio ci chiama”. Immediato il grido e istintivo il respiro, in una circolarità crescente e paziente, entro la quale scorgere e far emergere la linea melodica: fragilità, bisogno, ricerca e paura, assieme a calore, affetto, intimità e perdono.

Solo con la chiave del confronto però prenderà avvio la melodia che si annuncia di non facile accordo: questa orchestra non ha bisogno di solisti, ma di artisti che come in passato hanno saputo stupirsi e stupirci in nome dell’Evangelo, anche oggi si lascino sorprendere dalla meraviglia: “Lasciamo che gli interrogativi che questo cambiamento d’epoca porta con sé si riversino nel nostro cuore, senza mai perdere la pace, ma con la serena fiducia che a suo tempo non mancherà il Signore di ricondurre a unità. La storia della Chiesa – lo sappiamo – non ci racconta forse di tante situazioni analoghe, che i nostri padri hanno saputo superare con ostinata pazienza e creatività?”.

Infine la chiave dello sguardo, non perso nel vuoto o preda di banali spartiti, ma fisso sul “Direttore” dell’orchestra, Gesù Cristo, così da rendere i suoi gesti e le sue parole in armonia: “Se assumeremo il suo modo di pensare, di vivere e di relazionarsi, non faticheremo a tradurre il lavoro sinodale in indicazioni e percorsi per la pastorale della persona e della famiglia”.

Il pentagramma lo conosciamo dall’infanzia, banale e scontato con 5 righe e 4 spazi, ma se, come dice Francesco “prestiamo orecchio ai battiti di questo tempo e percepiamo l’«odore» degli uomini d’oggi, fino a restare impregnati delle loro gioie e speranze, delle loro tristezze e angosce (cfr Gaudium et spes, 1), a quel punto sapremo proporre con credibilità la buona notizia sulla famiglia”; persino poche righe e spazi ridotti quindi, possono essere luoghi di creatività, dove battere un ritmo che ancora ignoriamo, o che forse dobbiamo imparare daccapo a suonare, avendolo dimenticato.

Parafrasando R. Alvez, poeta e scrittore, mi chiedo: avrà capito la famiglia, Francesco? Spero di no. Credo che la famiglia sia come la musica e la poesia, cioè non devi capirla. La comprensione esaurisce la famiglia, la rende muta, non le fa dire più nulla, una volta compresa la riduce al silenzio o al deja-vue; la definizione blocca, segna la fine e fa calare il sipario.

La famiglia invece, credo sia come una canzone, a volte di Claudio Baglioni e spesso di Vasco Rossi: ne desideriamo il ripetersi perché il suo sapore è inesauribile, cioè immediato e istintivo. Ostinato, appunto.

Paolo Tassinari