Il caldo africano di questa estate ha giocato un brutto scherzo a coloro che, seduti dietro ad una scrivania probabilmente senza aria condizionata, erano chiamati a scegliere il titolo di un articolo per il loro giornale, a proposito di una catechesi sulla famiglia di papa Francesco dai contenuti “roventi”.
All’indomani del 5 agosto scorso infatti, i principali quotidiani nazionali titolavano: “Non c’è scomunica per i divorziati risposati” (La stampa); “Non trattare da scomunicato chi ha divorziato e si risposa” (Corriere sella sera); “Non trattate i divorziati risposati come scomunicati” (La Repubblica); “Divorziati risposati, no alle porte chiuse” (Avvenire).
Questi titoli in realtà, spostano l’attenzione del lettore su un tema che non era così centrale nelle parole del Papa, e ignorano invece l’inedito cambio di vocabolario da parte di Francesco a proposito delle coppie in nuova unione (conviventi e/o uniti in matrimonio civile dopo un divorzio), che si può osservare con facilità andando velocemente ad indagare ciò che ha detto, ma anche ciò che non ha detto in quella catechesi.
Francesco ha parlato di coloro che, battezzati, “hanno stabilito una nuova convivenza dopo il fallimento del matrimonio sacramentale”; questo possibile esito non è contemplato nell’enciclica Familiaris Consortio (dove la parola “fallimento” è semplicemente assente), e nemmeno in questa accezione è presente nel Direttorio di Pastorale Familiare (al num. 104 c’è “fallimento”, ma il discorso è un altro).
Questa espressione, come anche “l’irreversibile fallimento del loro legame matrimoniale”, raccoglie forse questioni spinose dibattute in questo tempo inter-sinodale, come testimoniano alcune recenti pubblicazioni: un matrimonio sacramentale può quindi essere soggetto ad un fallimento?
E’ inedito che un Pontefice ne parli in modo così franco, senza porre alcun dubbio a proposito, ma semplicemente “riconoscendolo”; proseguendo la sua osservazione, dovrebbe essere pacifico prendere atto di alcune ovvie conseguenze: ciò che è fallito, non c’è più! Ciò che è fallito, non ci sarà più! Ciò che è fallito non potrà esserci più! L’assunzione e il successivo svolgimento di questa prospettiva da parte dei Padri sinodali, che però ad oggi appare improbabile, aprirebbe a scenari davvero promettenti.
Proseguendo la lettura della catechesi, notiamo che nelle parole del Papa, per riferirsi a coloro che “hanno intrapreso una nuova unione”, mancano due determinazioni presenti con abbondanza sia in Familiaris Consortio che nel Direttorio, come pure nei testi magisteriali dei precedenti Pontefici e Prefetti di Congregazioni, a cui si era abituati: Francesco non parla di “divorziati risposati” e “situazioni matrimoniali irregolari”. Abbiamo già visto che, nel caso si fosse dimenticato, il giornalista medio ha supplito con efficacia al deficit pontificio nei titoli dei quotidiani ma, se al contrario la scelta di Francesco fosse intenzionale, ci troveremmo di fronte ad un cambio di passo che non dovrebbe lasciare indifferenti i Padri sinodali.
Lo sguardo del Papa si posa poi su questi “genitori”, mettendosi però dalla parte dei figli, per chiedere alla comunità cristiana “accoglienza” (ricordando il grande lavoro compiuto in questi decenni, dove per davvero la Chiesa “non è stata né insensibile né pigra”), perché queste coppie “non sono scomunicate”, cioè “fuori” dalla comunione ecclesiale, anche se purtroppo molti di loro (e non solo!) si vivono così.
A questo punto però una domanda si pone: se dopo quasi 35 anni che è stato scritto e detto “non sono scomunicati”, ancora oggi un Papa ha bisogno di ricordarlo, come anche il giornalista medio, non sarà forse che alcune scelte pastorali hanno condotto a pensare che, in realtà, non è così? Dal peso di questa contraddizione, speriamo presto di essere alleggeriti.
Tra le righe di questa catechesi quindi, è possibile rintracciare le coordinate di un cammino che non si deve inventare i propri passi, ma proseguire nella direzione tracciata da chi ha aperto il sentiero, osando però “più in là” di chi, fino a ieri, pensava fosse impossibile; osando “più in là” perché oggi, forse è possibile.