Dott. Grosso, dai dati a sua disposizione, quale rapporto si evince tra matrimoni e separazioni/divorzi in Italia, in questi anni?

Vorrei premettere innanzitutto che i dati italiani riportati dalle statistiche europee su separazione e divorzio sono sostanzialmente “fasulli” nel senso che nel nostro paese il vero divorzio, quello che rompe la famiglia, è la separazione. Le separazioni  sono molto più numerose dei divorzi anche se,  recentemente, questo divario si sta riducendo, infatti si sta passando da un divorzio ogni due separazioni a  tre divorzi ogni quattro separazioni.  In Italia  si tende a richiedere il divorzio quando si vuole contrarre un nuovo matrimonio.

Venendo alla domanda, i dati Istat ci dicono che in Italia i matrimoni celebrati nel 2005 sono stati 251.000, pari a 4,3 ogni mille abitanti; i divorzi  sono stati circa 45.000, pari allo 0,8 per mille. In realtà, per effettuare un adeguato confronto, occorre considerare le separazioni, che sono state 83.200, pari all’1,4 per mille. Nel Nord Italia le separazioni raggiungono l’1,8 per mille.
Se dunque consideriamo non i divorzi ma le separazioni il dato  del Nord Italia è vicino a quello della Francia (2,2 divorzi per mille) o a quello medio dell’Unione Europea (2).Il divorzio coinvolgere i matrimoni religiosi in una proporzione pari a quella dei matrimoni civili: in Italia i divorzi dal 1995 al 2005 sono cresciuti del 74%, le separazioni del 57,%.

 

Veniamo invece alla situazione locale: cosa è possibile osservare nel cuneese?

La crescita del fenomeno nel decennio trascorso è stimata più alta della media nazionale: nel 2006 nella provincia di Cuneo, si sono registrati ogni 1000 abitanti 3,9 matrimoni, 1,7 separazioni e 1,2 divorzi, questo vuol dire che ogni 100 nuovi matrimoni si registrano 43 separazioni e 30 divorzi; si tratta di  valori elevati, pressochè pari a quelli della provincia di Torino.  Nel 1° semestre 2007 (dati provvisori) valori dell’ordine di quelli citati sono stati registrati nell’area del Tribunale di Cuneo (che coincide quasi  con le due diocesi di Cuneo e Fossano), con un calo del 9% delle separazioni ed un aumento del 26% dei divorzi.

 

È possibile abbozzare gli sviluppi della separazione di un coniuge dall’altro? Cosa può dirci a riguardo la statistica?

La separazione della coppia può evolvere  in più stadi, che vanno dalla separazione di fatto (magari per un ripensamento), alla separazione legale (consensuale o giudiziale), al divorzio. I due attori, singolarmente, possono assumere numerosi ruoli: semplicemente separato (di fatto o di diritto), separato convivente, divorziato, divorziato convivente, divorziato risposato.  Anche se le persone provate da un matrimonio fallito, nella frequente situazione di sofferenza in cui si trovano possono fare poche distinzioni, queste si rendono utili a livello pastorale per una migliore accoglienza adatta a ciascuno.

La situazione di divorziato convivente sembra più spesso transitoria, destinata ad evolversi nel divorziato risposato, mentre quella di separato convivente, o semi convivente, può risultare più stabile, nel timore di ripetere il fallimento matrimoniale o per comodità/convenienza economica.

 

Le motivazioni per cui un matrimonio va incontro al naufragio sono le più diverse: si è fatto una idea a proposito?

Ad un occhio esterno non poche rotture matrimoniali sembrano causate da ragioni modeste, se non futili, quindi si potrebbe  presumere una facile riconciliazione; in realtà le riconciliazioni, con la ripresa della vita matrimoniale sono molto rare; un riavvicinamento, specie in assenza di forti convinzioni di fede, appare molto difficile In simili situazione è probabile che l’iniziale intesa matrimoniale avesse basi molto fragili, nonostante lunghi periodi di fidanzamento ed anche di convivenza; oggi i due si sentono semplicemente degli estranei non interessati a riprendere la vita comune.

Tuttavia esistono strategie preventive che forniscano ai coniugi strumenti di comunicazione e di dialogo, in modo da ricostruire un matrimonio che rischia di implodere.

Si, rispondo per gradi: parlerei di prevenzione terziaria della crisi, cioè a partire da gruppi specializzati come ad esempio Retrouvaille che da anni lavora in questo campo con ottimi risultati.

Più efficace sarebbe una azione di sostegno durante i momenti di crisi (prevenzione secondaria, attuabile ad esempio con attività consultoriali), che però è resa difficile dalla segretezza con cui maturano le rotture matrimoniali;  spesso le tensioni non sono percepibili al di fuori dell’ambito familiare. Si pone allora l’interrogativo di prevenire le crisi stesse (prevenzione primaria): è certo la più efficace ma richiedente livelli di attività molto elevati (ad esempio Incontro Matrimoniale, i gruppi sposi parrocchiali, le Eq. Notre Dame).

 

Come vede l’impegno e il servizio delle comunità cristiane nella cura e nella preparazione al matrimonio di coloro che vengono a chiedere la celebrazione?

La comunità cristiana, con un considerevole sforzo, punta alla promozione del matrimonio cristiano tramite i corsi di preparazione al matrimonio; mi pare che questo sforzo ampio e generoso soffra per la preminenza data al promuovere il matrimonio  rispetto alla riflessione sull’essere cristiani. I due terzi circa di coloro che richiedono il matrimonio religioso sono, per vari aspetti, distanti dal significato reale dell‘impegno battesimale. Compito principale dell’azione formativa sarebbe dunque il richiamare i giovani fidanzati agli elementi essenziali della proposta cristiana come sequela a Gesù in coppia; il ripensamento etico può seguire, non già anticipare la ripresa di questa sequela interrotta nella grande maggioranza dei casi nell’adolescenza. A mio modo di vedere ciò implicherebbe anche, ad esempio, il vedere nella convivenza non ideologica e nel matrimonio civile situazioni dalle quali, gradualmente e non sempre, può crescere un matrimonio cristiano.