Mentre il giornale va in stampa, è in corso la terza ed ultima settimana di lavoro della XIV Assemblea generale ordinaria del Sinodo dei Vescovi, sul tema “La vocazione e la missione della famiglia nella Chiesa e nel mondo contemporaneo”. Mercoledì 14 ottobre si erano conclusi i lavori dei circuli minores (13 gruppi composti da una ventina di Vescovi ciascuno, divisi su base linguistica) sulla seconda parte del documento base intitolato “Il discernimento della vocazione familiare”: il materiale prodotto è stato affidato alla commissione di dieci padri sinodali, che avrà il difficile compito di comporre il documento finale che, dopo essere messo ai voti dall’Assemblea, verrà consegnato al Papa.

In questi giorni quindi l’attenzione dei padri sinodali è tutta sulla terza ed ultima parte del documento base, “La missione della famiglia oggi”, che contiene le tematiche più complesse da affrontare: dai briefing nella Sala Stampa vaticana, e dalle dichiarazioni che spontaneamente i Vescovi hanno rilasciato in questi giorni, si evincono riflessioni e opinioni veramente diversificate, segno di una autentica vivacità e di un ampio confronto tra i padri sinodali, frutto dell’inedita metodologia adottata per questo Sinodo.

 

Sinodo sulla Famiglia: un proseguo incerto, tra paure e nuovi equilibri

I primi giorni della settimana scorsa, la seconda delle tre previste dal calendario del Sinodo sulla famiglia, sono stati caratterizzati dalle reazioni dei Vescovi e dell’opinione pubblica, a seguito della diffusione tramite un blog di una lettera riservata e indirizzata al Papa a firma di 13 cardinali, dove venivano sollevate perplessità e riserve sugli esiti del Sinodo prima ancora che iniziasse, denunciando il pericolo di una “regia” capace di pilotarlo verso risultati predeterminati.

L’esistenza di una lettera del genere, al di là della smentita di qualche firmatario che in ogni caso non ne ha negato l’esistenza, assieme all’infelice relazione introduttiva del card. P. Erdo di cui abbiamo dato nota la scorsa settimana, sono forse i sintomi di una patologia cui paiono essere affetti alcuni padri sinodali, che potremmo definire la paura del piano inclinato.

Prima dell’insorgere della malattia, la persona è in piedi, cammina serena e tranquilla sopra un piano orizzontale, certa di mantenere per sempre l’equilibrio, sicura nel credere che quel piano mai si inclinerà; l’esordio della malattia, i cui sintomi più evidenti sono ansia, smarrimento e sudori freddi, avviene quando il piano improvvisamente inizia a muoversi a destra e a sinistra, in alto e in basso diventando obliquo: la stabilità di quella persona è minacciata.

Chi di noi in occasione della fiera di san Giovenale ha vissuto l’esperienza del Tagadà o l’ha vista praticata da altri, intuirà facilmente come affrontare l’imprevisto cambiamento: occorre cercare subito un nuovo equilibrio, altrimenti si cade e ci si fa male.

La ricerca di nuovi equilibri a pensarci bene, è tipica di ogni uomo e donna, e diventa evidente in famiglia: dall’innamoramento (“Come farò a mantenere il legame con gli altri amici adesso che esco con lei/lui?”) all’alleanza matrimoniale (“Come entrare in un dialogo nuovo con genitori e suoceri?”); dalla generazione (“Dove troverò il tempo per continuare ad andare in piscina ora che mio figlio è piccolo?”) al lavoro (“Avevo chiesto ferie la prima settimana di agosto per andare in vacanza noi con gli amici, ma il mio responsabile ha detto che non potrò farle in quel periodo!”). Nulla di stupefacente, la vita è così.

Quando però accade che la famiglia si “incrina”, quando il piano su cui appoggia si è inclinato irreversibilmente, la Chiesa cosa dirà? Alle coppie che su questi piani obliqui riescono a stare in piedi ricreando nuovi equilibri e nuove famiglie, la Chiesa cosa dirà?

Quello che alcuni padri sinodali sembrano temere è proprio questa “pendenza”, negata da alcuni ed esasperata da altri, perchè fa sorgere un falso problema capace però di “far tremare le gambe”: ogni modifica della disciplina del matrimonio incide sulla dottrina, e ogni mutamento della dottrina mette in dubbio la verità del matrimonio. Meglio quindi avanzare dubbi sulle procedure dei lavori e denunciare complotti, piuttosto che ricercare un nuovo equilibrio (come la madre ansiosa a san Giovenale: “Chi sta manovrando il Tagadà esagera…non deve fare così…deve muovere più piano…una volta lo faceva… meglio se si ferma!”).

In questa cornice dunque, l’intervento a sorpresa di Francesco durante il secondo giorno di dibattito, ci offre nuovi significati: aveva chiesto di “non cedere all’ermeneutica cospirativa” cioè chiarito che non ci sono manovre pericolose o nascoste in questo Sinodo; affermato che “la dottrina del matrimonio non è mai stata intaccata”, cioè è lecito discuterne la traduzione; detto di “fare attenzione perché l’unico problema al Sinodo non è quello della comunione ai divorziati risposati”, cioè come sia necessario guardare alla famiglia nella sua interezza, complessità e nei suoi equilibri, altrimenti per quale motivo mettere in moto questo lungo processo sinodale?

Su questa scia tracciata da Francesco si pongono alcuni interventi dei padri sinodali durante i briefing di questi giorni, come ad esempio quello del card. P. Nakellentuba Ouédraogo, arcivescovo di Ouagadougou (Burkina Faso), che ha confermato che non c’è un «blocco», in assemblea o nei gruppi di lavoro, «e non sono corrette categorizzazioni come conservatori e progressisti», bensì, «come diceva Giovanni XXIII al Concilio, il Vangelo non cambia, è la nostra comprensione che può cambiare, possiamo comprenderlo meglio, perché ecclesia semper reformanda, è sempre in aggiornamento».

Un identico stile lo ritroviamo in alcune relazioni dei 13 circuli minores, quando ad esempio si fa cenno alle differenze culturali, tra chi insiste maggiormente sul fatto (un gruppo francofono) che nella Chiesa c’è una «grande ricchezza e diversità di culture», ma va ribadita «l’unità del nostro insegnamento», e chi (come un gruppo anglofobo), invertendo i termini, sottolinea che ci sono «certo punti di convergenza» ma «le vie diverse con cui il mistero si incarna in diverse parti del mondo pone una sfida all’equilibrio tra il locale e l’universale».

Il circolo tedesco sottolinea tra l’altro che «per Tommaso d’Aquino così come per il Concilio di Trento bisogna applicare i principi di fondo con intelligenza e saggezza alle situazioni singole e spesso complesse. Non si tratta di eccezioni nelle quali la parola di Dio non sia valida, ma della domanda di un’applicazione giusta ed equa della parola di Gesù, ad esempio sulla indissolubilità del matrimonio, con saggezza e intelligenza», senza peraltro seguire il principio del «tutto o niente» ma piuttosto quello del «gradino dopo gradino».

Appunto, un passo “oltre e accanto all’altro”, alla ricerca di un nuovo equilibrio che sia all’altezza del Vangelo e della famiglia.

Paolo Tassinari