Domenica 25 ottobre con la Celebrazione dell’Eucarestia presieduta da Papa Francesco e concelebrata dai Padri Sinodali, si è conclusa la XIV Assemblea generale ordinaria del Sinodo dei Vescovi, sul tema “La vocazione e la missione della famiglia nella Chiesa e nel mondo contemporaneo”.  A metà della settimana scorsa, dopo le proposte di integrazione alla terza parte del documento base da parte dei circuli minores (13 gruppi composti da una ventina di Vescovi ciascuno, divisi su base linguistica), la commissione incaricata di redigere la Relatio Synodi, si è riunita ed ha redatto il documento conclusivo. Tutti i paragrafi del testo finale sono stati votati con i due terzi dei voti da parte dei padri sinodali, compreso il numero 85 che, volenti o dolenti, rappresenta la “cartina di tornasole” dell’intero Sinodo (placet di 178, non placet di 80 padri, 177 il quorum per la maggioranza qualificata). Ora il documento è stato consegnato al Papa il quale, quando lo riterrà opportuno e nei modi che gli competono, offrirà indirizzi di cammino per il rinnovamento della pastorale della famiglia, con una esortazione apostolica.

 

Sinodo sulla Famiglia: prudenza e profezia

La Relatio Synodi, il documento che conclude il Sinodo sulla Famiglia, ad prima lettura sembra deludere le attese della vigilia, in quanto non si trovano soluzioni alle questioni più complesse che hanno animato il dibattito di queste tre settimane: non si nega nulla ma neanche si afferma. Vengono ripresentati infatti i fondamenti della dottrina cristiana su matrimonio e famiglia, senza stravolgimento alcuno; dunque pura ripetizione? Rigidità, chiusure e soprattutto tempo perso al dibattito tra i Vescovi?

Un flash dell’agenzia Ansa di sabato sera diceva: “Sinodo, l’ostia ai divorziati passa con un voto di scarto”, e con parole simili è stata data notizia della conclusione del Sinodo ai telegiornali; se prendiamo in mano il documento però, non troviamo nulla di tutto ciò, e allora cosa è successo?

In realtà con questo testo viene condivisa dai Vescovi una “base sicura” perché ampiamente votata dai Padri Sinodali in ogni suo punto, a partire dalla quale spetterà a Francesco indicare gli elementi per un “nuovo equilibrio” che dovrà coniugare la missione della Chiesa e l’identità della famiglia, ed evitare due nuove tentazioni da lui stesso introdotte nella Celebrazione di domenica mattina: la “spiritualità del miraggio”, quella che non fa vedere la realtà come è veramente, ma come noi vorremmo vederla, e la “fede da tabella” dove tutti devono rispettare ritmi dettati da noi stessi, e dove ogni inconveniente disturba.

I Vescovi nel loro lavoro hanno avuto coraggio e determinazione, nel testo elaborato hanno attuato fino in fondo il compito loro assegnato, attraverso l’esercizio di una prudenza che se da una parte sembra eccessiva, dall’altra invece rende possibile una profezia auspicata ed impensabile fino a pochi anni fa.

Non si tratta di una “delega” al Papa perché risolva i nodi più complessi, piuttosto il frutto della fatica di un cammino comune tra Vescovi molto diversi, affidato alla intuizione profetica di uno solo di loro, quello di Roma, che presiede e orienta la assemblea, e che ora è chiamato a tradurre e rendere praticabile il Vangelo in modo nuovo per ogni famiglia e per la comunità cristiana.

Non era affatto scontato un esito condiviso dalla maggioranza qualificata dei Vescovi: ora si comprende meglio il lungo tragitto sinodale, avviato nel Concistoro di febbraio 2014, proseguito col Sinodo straordinario di ottobre dello scorso anno, e giunto in questi giorni a conclusione. Differenze di cultura, sensibilità, attenzione hanno animato un dibattito franco, un confronto appassionato seguito dagli organi di informazione passo dopo passo, che ha restituito il volto di una Chiesa “in ricerca”, che non teme di mettersi e soprattutto reimmettersi alla sequela del suo Maestro per annunciarne la buona notizia.

Nel suo discorso conclusivo, appena terminata la votazione punto per punto del documento, Papa Francesco ha regalato ai Padri Sinodali alcune perle che ci offrono una rilettura sorprendente dell’evento. Francesco si chiedeva: che cosa significherà per la Chiesa concludere questo Sinodo dedicato alla famiglia?

Tra le tante risposte che elenca, merita citare tre significati: “Aver testimoniato a tutti che il Vangelo rimane per la Chiesa la fonte viva di eterna novità, contro chi vuole “indottrinarlo” in pietre morte da scagliare contro gli altri. Significa anche aver spogliato i cuori chiusi che spesso si nascondono perfino dietro gli insegnamenti della Chiesa, o dietro le buone intenzioni, per sedersi sulla cattedra di Mosè e giudicare, qualche volta con superiorità e superficialità, i casi difficili e le famiglie ferite. Significa aver affermato che la Chiesa è Chiesa dei poveri in spirito e dei peccatori in ricerca del perdono e non solo dei giusti e dei santi, anzi dei giusti e dei santi quando si sentono poveri e peccatori”. E poco dopo continua: “L’esperienza del Sinodo ci ha fatto anche capire meglio che i veri difensori della dottrina non sono quelli che difendono la lettera ma lo spirito; non le idee ma l’uomo; non le formule ma la gratuità dell’amore di Dio e del suo perdono. Ciò non significa in alcun modo diminuire l’importanza delle formule, delle leggi e dei comandamenti divini, ma esaltare la grandezza del vero Dio, che non ci tratta secondo i nostri meriti e nemmeno secondo le nostre opere, ma unicamente secondo la generosità illimitata della sua Misericordia. Significa superare le costanti tentazioni del fratello maggiore e degli operai gelosi. Anzi significa valorizzare di più le leggi e i comandamenti creati per l’uomo e non viceversa”.

Come fu 35 anni fa Giovanni Paolo II a trarre le conclusioni del precedente Sinodo sulla Famiglia con l’esortazione apostolica Familiaris Consortio, ora tocca a Francesco continuare un cammino che sembrava interrotto sotto diversi profili. Quello più evidente come è noto, tocca le coppie in nuova unione: affermando che “non si considerino separate dalla Chiesa, potendo e anzi dovendo, in quanto battezzati, partecipare alla sua vita” (FC 84), il papa polacco superava la condizione di “scomunica” che la tradizione aveva loro attribuito negli ultimi due secoli, offrendo risposte che però, con il tempo, si sono rivelate provvisorie e inadeguate; soluzioni che erano e sono sempre più diventate un problema, radici tra le più significative del complesso itinerario sinodale.

Ora Francesco può scrivere una pagina nuova per la storia di tante famiglie, e da quella pagina affidare a noi un compito da svolgere nelle Diocesi o in parrocchia: in questi anni di servizio all’interno del progetto diocesano “L’anello perduto” a favore di persone separate o divorziate sole, ma anche coppie in nuova unione, chi scrive sa bene che non sarà affatto sufficiente proporre cammini di riconciliazione, offrire un accompagnamento in vista della comunione, o ancora concedere di essere madrina o padrino per rinnovare lo stile della testimonianza ecclesiale. Molte di queste famiglie infatti hanno preso da tempo congedo dalla comunità cristiana che, dobbiamo riconoscerlo, non ha sempre brillato in accoglienza e benevolenza nei loro confronti.

L’esortazione che ora attendiamo da Papa Francesco e che con ogni probabilità cadrà all’interno dell’Anno straordinario della Misericordia, speriamo inneschi dinamiche di perdono e riconciliazione reciproca, così da rinnovare il volto di una Chiesa a cui sta a cuore ogni uomo, ogni donna, ogni famiglia.

Paolo Tassinari