Incontro Liano Petrelli, allenatore della volley Fossano. Occhi brillanti di passione sportiva. Intorno è via vai di ragazzine, palloni, ritmi, righe colorate per terra. Mi colpisce l’ordine nel movimento, si ripetono azioni e si scambiano posti, solo noi ci stiamo scambiando cose da fermi: parole.

Mi parla della pallavolo: sport di squadra dove si vince e si perde insieme, dove si passa la palla e si hanno dei compagni. Così rompe il ghiaccio e subito dopo dice una cosa che non avevo mai pensato e m’interessa: la pallavolo è uno sport “per timidi, dove non c’è contatto fisico, è uno sport mentale”. E con queste tre parole si apre la partita-conversazione e l’ha iniziata lui, guardandomi negli occhi.

Gli chiedo di parlare di sé. Sono cresciuto con il pallone nei piedi, giocavo in oratorio, e sono presto passato dal calcio alla pallavolo; ho avuto un buon professore alle Medie. Ero uno normale: non saltavo, non schiacciavo, non ero troppo alto ma in campo ero utile agli altri. Ho fatto meraviglie con costanza e passione. Mi piaceva stare in campo per dare, per me la squadra veniva prima del resto, prima della persona. Intende dire prima di sé stesso.

Non parla dei suoi personali successi anche se è un campione (che mi sono andata a cercare su internet e li avessi visti prima gli avrei almeno fatto i complimenti per la sua strepitosa carriera!) ma dei suoi maestri: il famoso Julio Velasco e i compagni di squadra.

Ha un gran curriculum! Nella cassetta degli attrezzi di allenatore di Petrelli ho visto alcune cose interessanti anche per me che non gioco a volley.

Sono 3 buone pratiche – tra le molte che ha citato – che aiutano al lavoro di squadra.

Quanti gruppi di colleghi, amici, parenti … sono in crisi perché non riescono a stare insieme, a comunicare, a fare gioco di squadra?

Numero 1: dare fiducia.
Liano Petrelli sostiene che bisogna cercare la “persona” che è dentro ogni ragazzo. Nel gioco non ti puoi nascondere, vieni fuori. Io credo che tutti i ragazzi siano unici. L’allenatore ti aiuta a esaltare la tua unicità, guarda la tua personalità ma t’insegna la tecnica, ti allena e non ti gestisce. Tutti i ragazzi hanno del talento, magari non lo sanno. Come allenatori li aiutiamo a capire quale può essere il loro ruolo. Io giocando ho scoperto di me che sono costante e affidabile.

Mi trova molto d’accordo. Chi non ha provato almeno una volta l’esperienza di un gruppo in cui tutte le tue “unicità” di persona sono bellamente ignorate o peggio usate contro di te? Certe volte non sei tu che non “funzioni”, sono le dinamiche dei gruppi in cui ci trova che andrebbero corretti alla svelta. Questo è il compito del leader: NON è fare il despota comandante MA è far funzionare il gruppo, riconoscere le risorse e valorizzarle. L’allenatore non si occupa di muscoli e palloni ma di persone.

Numero 2: fare riferimento ai fatti.
L’allenatore del volley può insegnare bene la tecnica di gioco facendo riferimento ai numeri, alle statistiche “oggettive”, e non vagamente a un’impressione che ha avuto del gioco. Quando una partita non va come sperato esiste il confronto, i ragazzi non sono stupidi. Si lavora anche sulla sconfitta, è un bel momento.

Numero 3: trattare tutti allo stesso modo.
Parole chiave: limpidezza, passione, empatia, dare.

Tornando a casa dopo questa intervista ho l’impressione di aver imparato delle cose e mi viene voglia di curare un po’ le “squadre” di cui faccio parte, sentire le persone, confrontarsi sui fallimenti e sui successi e dare un po’ di energia.

“Va’ a prendere le tue cose. I sogni richiedono fatica.” Paolo Choelo

Monica Mazzucco
La Fedeltà, luglio 2013