Nella primavera di 10 anni fa muoveva i primi passi il progetto diocesano “L’anello perduto” rivolto a coloro che, dopo la separazione dal coniuge, sono soli o hanno dato avvio a una nuova esperienza di coppia. A coordinarlo venne chiamato Paolo Tassinari, oggi diacono permanente, insieme alla moglie Sandra Rosano; con lui ripercorriamo le principali tappe del percorso, i successi, le difficoltà con uno sguardo alle prospettive future.

Partiamo dall’inizio: quando nasce il progetto? Come ha mosso i primi passi?

Il progetto diocesano nasce da una richiesta dei Consigli Pastorali delle diocesi di Cuneo e di Fossano, maturata nell’autunno del 2007. Si sentiva l’esigenza di offrire una attenzione particolare a coloro che avevano visto naufragare il proprio matrimonio, uomini e donne la cui sensazione era di essere “fuori” dalla Chiesa, oggetto di un “giudizio malevolo” da parte di un buon numero di cristiani praticanti e con addosso una sorta di “risentimento” circa le indicazioni del Magistero a proposito di riconciliazione e Comunione ai divorziati risposati. Il vescovo di allora mons. Cavallotto, affidò a me e a mia moglie questo incarico durante il cammino di formazione al diaconato permanente, dandoci massima fiducia; ricordo che rimasi stupito della sua determinazione a proposito, anche perchè conoscevo nulla di quella materia, pur sentendomi attratto. Coinvolgendo alcuni amici, compresa una collega di lavoro separata e un insegnante di mio figlio sposato in civile dopo il divorzio, nell’aprile del 2009 abbiamo proposto la prima serata di testimonianza e ascolto, con l’obiettivo di raccogliere le domande e i bisogni che separati e risposati avevano a cuore, e da lì in poi iniziare a progettare qualcosa. Dopo un percorso di studio con alcuni docenti dello Studio Teologico Interdiocesano e qualche tentativo più o meno riuscito di incontri di condivisione, sono nate le serate di laboratorio “Storie in trasformazione”.

In cosa consiste questa l’esperienza e come prosegue?

Ogni anno una ventina di persone separate o divorziate sole (che cioè non hanno attiva una nuova relazione di coppia), sono accompagnate da una formatrice in un itinerario di 5 serate, attorno a queste aree tematiche: ri-trovarsi e ri-conoscersi: il delicato problema di ridisegnare se stessi per continuare a scrivere la propria storia; sentire e sentirsi: emozioni, elaborazione e consapevolezza nei processi di separazione e cambiamento; autostima e desiderio: l’importanza di non smarrire la fiducia in sé e negli altri per ripartire. Dopo questa esperienza che è proposta ad ottobre, seguono una serie di altre iniziative come ad esempio: celebrazioni della Parola prima di Natale e dopo Pasqua, cineforum, incontri sulla gestione dei figli, week-end di approfondimento laboratoriali, cene e gite al mare e in montagna, e ultimamente una esperienza di cucina. Sì, perché ritrovarsi da soli a cucinare per se stessi, per i figli o anche invitare amici a cena dopo essersi separati, è un gesto tutt’altro che scontato.

A cosa hanno condotto questa serie di iniziative?

I frutti di queste esperienze sono veder rifiorire tante persone conosciute in momenti critici della loro vita: alcune hanno ritrovato una certa quota di serenità, altre lottano contro rimorsi e fantasmi del passato, e altre ancora stanno ricostruendo una nuova relazione. La cosa che più mi piace è sapere che sono sorti legami tali per cui questi amici organizzano per conto proprio occasioni di incontro al di là delle proposte diocesane. I numeri dicono che almeno un centinaio di persone hanno preso parte ai laboratori, anche se “lo zoccolo duro che poi risponde positivamente alle proposte successive, si attesta sulla trentina. Incontrare a distanza di anni, ad esempio durante la celebrazione creativa di Natale, persone che avevano preso parte molto tempo prima a qualche attività, mi riempie di felicità ogni volta e mi “libera”: non si sono creati “gruppi chiusi” ma legami fraterni per cui ciascuno proseguendo la propria strada, anche solo una o due volte all’anno, viene a condividere qualcosa del progetto diocesano, per nutrire se stesso e le amicizie costruite. E’ stato significativo registrare un’ampia partecipazione di persone provenienti dall’intera provincia di Cuneo, a fronte di un numero assai esiguo residente a Fossano; porto stampato nella memoria la considerazione di una donna quando mi diceva: “Aveste organizzato questo incontro nella mia parrocchia, non sarei venuta”.

Invece a proposito di coloro che dopo una separazione o divorzio hanno dato avvio ad una nuova unione di coppia, come vi siete mossi?

Accanto all’itinerario dei laboratori, a partire dalla serata del 2009, è nato un gruppo coppie in nuova unione, formato da 8 coppie conviventi oppure sposate in forma civile, guidato da mia moglie e da un’altra signora. Incontrandosi una volta al mese, prima nei locali del Seminario e poi a casa nostra, si è sviluppato un cammino di riscoperta della fede cristiana e di confronto sulle normali dinamiche di coppia. Strada facendo gli incontri hanno assunto un carattere meno formale e più familiare, consentendo l’instaurarsi di buone relazioni tra i partecipanti; commovente aver partecipato al matrimonio civile e religioso di alcuni di loro.

Sappiamo che il vostro progetto ha avuto una attenzione da parte di Papa Francesco; ricordo ancora la tua emozione nel raccontare la telefonata che ricevesti dal Papa il 30 gennaio 2016…

Sì, quella telefonata e l’udienza concessa da Papa Francesco è stata una esperienza straordinaria e un dono impensabile che tutti insieme abbiamo ricevuto. Nell’autunno del 2015 ad alcune persone era venuta l’idea di scrivere una lettera al Papa, con toni molto franchi, che io non avrei mai osato mettere nero su bianco, e tantomeno inviare a lui. Era scritto: “Caro Santo Padre, nella separazione abbiamo subìto l’abbandono, il tradimento, lo smembramento delle famiglie, il crollo dei valori più profondi in cui credevamo, la perdita dell’identità e di tutte le sicurezze, la fiducia in Dio e a tratti la fede. In questo contesto traumatico, la Chiesa si è dimostrata in genere indifferente, quando non addirittura ostile, e Dio ci è parso lontano e distaccato”. La conclusione diceva: “Ora Santo Padre vista la Sua spiccata sensibilità e disponibilità all’accoglienza, ci permettiamo di chiederLe udienza privata”. Questa lettera aveva sortito il gesto inimmaginabile della telefonata di Papa Francesco un sabato all’ora di pranzo; conservo ancora nelle orecchie la sua voce inconfondibile, il suo mettersi a disposizione per un incontro, l’affetto e la stima trasmessa. Confesso che a volte nei momenti di scoraggiamento che vivo, per qualcosa che non funziona come vorrei nei progetti che seguo, riascolto quella telefonata che per un caso fortuito sono riuscito a registrare; ascolto e riparto con rinnovata energia! E sorrido ripensando all’esclamazione che ad un certo punto mi è uscita di bocca parlando al Papa: “… mado… madosca!”. Il 6 aprile 2016, accompagnati dal Vescovo mons. Delbosco, eravamo in piazza san Pietro; al termine dell’udienza generale, il Papa si era avvicinato ai separati/divorziati, alle coppie in nuova unione e ai nostri figli, stringendo mani e benedicendo una fede nuziale che gli era stata posta all’attenzione; era il nostro “anello perduto”.

Due giorni dopo l’udienza dal Papa, veniva pubblicata Amoris Laetitia; ne avete parlato durante gli incontri?

Certamente, non solo parlato ma soprattutto messo in opera. In questo ultimo anno, alcune coppie del gruppo hanno visto riconosciuto il cammino compiuto, e così come reso possibile da Amoris Laetitia, dopo una serie di colloqui col Vescovo e con il presbitero di riferimento, sono ritornate a vivere in pienezza la Messa, potendo ricevere la Comunione. Per altre invece il tempo non è ancora maturo, e pur avendone la possibilità preferiscono aspettare. Cammini simili a quello fossanese, nel frattempo sono iniziati sia in Regione che in molte altre diocesi italiane; la primavera inaugurata da Amoris Laetitia è appena agli inizi, ma qualche frutto già si intravede.

Ricordi qualche esperienza significativa? Dove si colloca oggi “L’anello perduto” a distanza di 10 anni?

Ricordo che nel 2011 era stato pubblicato un libro edito da Effatà dal titolo: “L’anello perduto. Sulle orme di un percorso tracciato con separati/divorziati e conviventi/risposati che interrogano la comunità cristiana”, con una serie di saggi a cura dei docenti dello STI. Ottima era stata la collaborazione con “L’Atrio dei gentili” nell’organizzazione di alcune serate di studio durante i Sinodi sulla Famiglia per seguire lo stato dei lavori, e all’indomani della pubblicazione di Amoris Laetitia. Il nostro progetto dal 2017 è diventato parte integrante le proposte dell’Ufficio di Pastorale Familiare, su indicazione del Vescovo mons. Delbosco; la coppia attualmente corresponsabile con me e don Beppe Uberto inoltre, conosceva già da vicino le proposte de “L’anello perduto”, in quanto si era coinvolta nel progetto da molto tempo. In particolare grazie al loro aiuto e a quello del sociologo Luigi Grosso, nella primavera del 2012 era stata realizzata una ricerca, con l’obiettivo di indagare le opinioni e le convinzioni dei credenti a proposito di separati o risposati.

Hai descritto tante cose belle; ma ogni esperienza ha le sue criticità, i suoi problemi…

Direi che non è tutto oro quello che luccica, perchè in questi anni le zone d’ombra e gli insuccessi non sono ovviamente mancati: mi torna in mente ad esempio un flop dopo l’invito rivolto a coppie in nuova unione per iniziare un gruppo oltre a quello già esistente, quando nessuno si presentò. Ricordo momenti di preghiera andati pressochè deserti, e di aver ricevuto telefonate ed email da parte di chi, scandalizzato dalle proposte messe in campo, manifestava dissenso e riprovazione. Soprattutto mi spiace registrare come le iniziative proposte in questi 10 anni abbiano inciso quasi per niente la vita ordinaria delle parrocchie.

Quale futuro per il progetto diocesano?

Più che progetti ho in testa un pensiero che mi frulla da qualche mese e un sogno. Come ero scettico a fronte della proposta di scrivere una lettera al Papa per chiedergli udienza, e i fatti mi hanno smentito, ora mi ritrovo di nuovo scettico di fronte ad una nuova “follia” arrivata dalle stesse persone: un pellegrinaggio in Terra Santa con gli amici de “L’anello perduto”, accompagnati da mons. Delbosco. I costi di un pellegrinaggio del genere infatti rappresentano uno scoglio per tanti di noi insormontabile. Non nego tuttavia che mi piacerebbe sentirmi dire per la seconda volta: “Hai visto Paolo? Ma perchè proprio tu non credi alle cose impossibili?”. Il mio sogno invece è che il progetto “L’anello perduto” finisca e non ce ne sia più bisogno, perché qua e là sono maturate attenzioni e proposte concrete di cammini per separati/divorziati soli e coppie in nuova unione. Per sognare occorre dormire, ma prima di farlo con serenità, credo sia bene rimanere svegli ancora un poco!

Fossano 18/9/2019, a cura di Carlo Barolo, vice direttore La fedeltà