“Mentre questo inverno trascorre con temperature costantemente sotto lo zero e noi cerchiamo di non allontanarci troppo dalle nostre fonti di calore, in Bosnia ci sono alcune migliaia di profughi che stanno morendo di freddo. Persone che i governi occidentali hanno contribuito a far partire dai loro paesi e che ora nessuno vuole. Nessuno ha la scusa per dire che non lo ha saputo. Tutta l’Europa lo sa e non muove un dito se non per dire che non li vuole e devono stare lì. La Chiesa è là in prima linea con la Caritas che fa quello che può, ma si muore lo stesso di freddo. La Caritas di Fossano ha inviato un primo aiuto in denaro, ma ci hanno chiesto dei sacchi a pelo “robusti”. Possiamo dare una mano o in parrocchia o presso la Caritas Diocesana”: sono le parole pronunciate da Stefano Mana, direttore della Caritas di Fossano.

È drammatica la situazione dei migranti che, a partire dal 2018, arrivano in Bosnia-Erzegovina attraverso la rotta balcanica. E particolarmente grave è la situazione che si è venuta a creare tra il dicembre 2020 e il gennaio 2021 nel campo profughi di Lipa, nel cantone di Una-Sana, a nord-ovest della Bosnia. Il 23 dicembre scorso il campo era stato distrutto da un incendio, lasciando 1400 persone senza riparo, in balia del freddo e delle temperature abbondantemente sotto lo zero. Da allora, la situazione non è migliorata: le forze armate bosniache hanno allestito alcune tende riscaldate che bastano solo per alcune centinaia di persone e l’Unione Europea, con il supporto delle organizzazioni umanitarie, sta facendo pressione sul governo bosniaco per risolvere la situazione, finora senza grossi risultati.

In questo inferno che gela il cuore d’Europa, una rete di sostegno è stata avviata da Caritas italiana insieme a numerose associazioni e volontari di tutto il continente, accomunate dalla volontà di mitigare, almeno nell’immediato, la tragedia. Una rete di cui fa parte anche Fossano: fino al 14 febbraio sarà infatti possibile partecipare ad una raccolta fondi per destinare 50 sacchi a pelo ai migranti rimasti senza alloggio, al freddo. Un invito rivolto a tutta la cittadina, la quale, nel suo piccolo, potrà fare molto per rendere più sopportabile una situazione da troppo tempo grave e disumana; la distruzione del campo di Lipa è solo l’ultima manifestazione di un’escalation di violenze, respingimenti e violazioni dei diritti che si protraggono da anni.

 

Il Diritto d’asilo-Report 2020 della Fondazione Migrantes

Poco prima della tragedia, nel novembre 2020, la Fondazione Migrantes ha pubblicato il suo ultimo rapporto dedicato al mondo dei richiedenti asilo e dei rifugiati, con l’auspicio di costruire un sapere fondato rispetto a chi si mette in fuga. La quarta sezione del volume è dedicata proprio alla rotta balcanica, molto meno trattata dai nostri media, fortemente sbilanciati su quella mediterranea. Nel rapporto si legge che: “Secondo la Commissione europea, nel 2019 gli attraversamenti irregolari delle frontiere esterne dell’Unione sarebbero stati 141.700, con una diminuzione del 5% rispetto al 2018” e che “Nel periodo gennaio-luglio 2020 detti attraversamenti irregolari sono stati 51.600, con una ulteriore netta diminuzione rispetto al 2019”. Non ci sarebbe da anni nessuna situazione di emergenza collegata a grandi spostamenti di popolazione che giustificherebbe la creazione di campi di confinamento nei quali collocare i migranti. In tutto questo, resterebbe ambiguo il ruolo dell’UE. Stando al report, infatti, i campi in Bosnia, in parte finanziati dall’Unione: “non nascono in ragione di una dura realtà che impone scelte dolorose”, ma sembrano essere “il frutto della volontà di aprire specifiche strutture per isolare a lungo i richiedenti asilo e i rifugiati e scoraggiare gli arrivi”.

Nel corso dell’anno passato, neanche la diffusione del Covid-19 ha fermato quel lungo corridoio di fuga dai confini turco-greci a Trieste. Un flusso di persone che entra per la prima volta nell’Unione Europea (Grecia e Bulgaria) per poi uscirne facendo ingresso nel territorio dei Balcani occidentali e, infine, riprendere il viaggio, tentando di raggiungere l’Unione europea più a nord, in Croazia e Slovenia. Questi ultimi Paesi, tuttavia, sono per la maggior parte dei migranti sono luoghi di transito attraverso i quali giungere nell’Europa considerata “vera”.

Snodo principale della rotta balcanica è la Bosnia-Erzegovina. Una nazione che, nel corso del 2017, si è trovata nella morsa degli Stati confinanti, protagonisti di politiche di respingimento. Una situazione che ne ha alternato profondamente gli equilibri: da area appena lambita dai flussi migratori è divenuta ciò che è attualmente, un paese la cui parcellizzazione del potere influisce inevitabilmente sulla gestione del sistema di accoglienza.

 

Dall’incendio di Lipa alla solidarietà di Fossano

Il giorno in cui è divampato l’incendio, l’Organizzazione Mondiale delle Immigrazioni (OIM) stava ritirando il personale dal campo: un atto di protesta contro le autorità locali che non avevano attrezzato le tendopoli per la stagione invernale. Il campo di Lipa era stato allestito in fretta e furia nella città di Bihac, la scorsa primavera: una soluzione temporanea di accoglienza, nel tentativo di contenere la diffusione del contagio. Così non è stato. Mentre i residenti della città protestavano contro la presenza degli immigrati e si susseguivano atti di violenza a danno dei profughi, le autorità locali hanno disposto la chiusura del vicino campo di accoglienza di “Bira”, che al tempo ospitava duemila migranti. Questi ultimi sono stati spostati a Lipa, dove la situazione, a causa del sovraffollamento, della mancanza di cibo, acqua e riscaldamento, è divenuta ingestibile.

Inutili i tentativi dell’UE, degli Stati Uniti e dell’OIM affinché i migranti potessero essere ricollocati nel centro di Bira. Per questo, di fronte all’inazione delle autorità locali, l’OIM ha lanciato un ultimatum: in caso di mancato approvvigionamento elettrico ed idrico, l’organizzazione avrebbe cessato ogni attività sul campo. Ennesimo tentativo vano: le autorità locali non hanno ceduto di un passo, rifiutando di aprire, anche solo temporaneamente, il Bira. Così, mentre l’OIM ritirava il personale dal campo, a Lipa è scoppiato l’incendio, le cui circostanze restano ancora da chiarire.

Di fronte alla catastrofe umanitaria, la delegazione fossanese non è rimasta inerte. Raccogliendo l’invito di Caritas Italiana ad agire urgentemente per la sopravvivenza di queste persone, ha dato il via ad un’iniziativa solidale capace di coinvolgere e sensibilizzare la cittadina. Fino al 14 febbraio sarà possibile fare una donazione tramite bonifico (IBAN IT29T0617046320000001603189), specificando nella causale “Rotta Balcanica”. I proventi saranno interamente destinati a riparare gli sfollati.

Un gesto che scalda e che getta luce su quello che già Calvino aveva descritto come “inferno dei viventi”. Risuonano come monito le sue parole: “Due modi ci sono per non soffrirne. Il primo è facile a molti: accettare l’inferno e diventarne parte, fino al punto di non vederlo più. Il secondo è rischioso ed esige attenzione e approfondimento continui: cercare e saper riconoscere chi e che cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno, e farlo durare e dargli spazio”.