Sollecitati a intervenire su La Fedeltà in occasione della Giornata mondiale di preghiera per le missioni e del mese missionario, alcuni sacerdoti fossanesi “fidei donum” hanno inviato le loro riflessioni. Di seguito il contributo di padre Luigi Bruno (diocesi di Nova Iguacù), che ci scrive dalla periferia di Rio de Janeiro in Brasile

Vivo la mia esperienza missionaria, sempre nella periferia della “città meravigliosa” che è Rio di Janeiro, da 52 anni (il prossimo 6 novembre). In 52 anni pensavo di conoscere questa realtà. Dico pensavo e molte volte ho cercato di mettere per scritto e inviato a La Fedeltà ciò che stavo vivendo e sentendo e sempre è stato pubblicato.

Prima di ricevere l’invito a scrivere in occasione del mese missionario, già avevo tentato di condividere con voi ciò che sto vivendo adesso, ma non sono riuscito. Sono convinto che essere missionario è essere presenza viva dell’amore di Dio, è “incarnarsi”, è essere testimone di Gesù che nella sinagoga di Nazareth identifica la sua missione con le parole del profeta Isaia: “Lo Spirito mi ha inviato ad annunciare buone notizie ai poveri, a proclamare la libertà ai prigionieri, ai ciechi il dono della visione, a rimettere in libertà gli oppressi”; più tardi dirà: “Sono venuto affinché tutti abbiano la vita e l’abbiano in pienezza.” Parole sante in cui credo, ma mi guardo attorno e mi assale un misto di paura, angustia, impotenza.

Quando ho sentito il discorso del Presidente del Brasile all’Onu mi sono detto: “O è pazzo o è un dittatore bugiardo e sanguinario”. Il Brasile ha superato i 600 mila morti per la pandemia e secondo alcuni sondaggi in questo momento i morti a causa della fame superano i morti a causa della pandemia. Il Vescovo ha visitato una regione della diocesi e il prete di Haiti, che è missionario in quella zona, gli ha detto: “Nel mio paese non ho mai visto tanta miseria come qui”. Questa mattina, dopo aver terminato di celebrare la messa nella “comunità dei Martiri”, sono salito in macchina e a meno di 100 metri, all’angolo di una strada, ho visto un uomo che cercava qualcosa da mangiare in mezzo ai rifiuti che altri avevano gettato via. Durante la pandemia qui in parrocchia siamo riusciti a organizzare la solidarietà (il responsabile è un giovane) per soccorrere ogni mese 265 famiglie povere. All’inizio, la generosità locale ci ha sorpreso positivamente e con gli aiuti che arrivavano da fuori, nel mio caso soprattutto da voi fossanesi e in particolare da Mellea, questa iniziativa di solidarietà ha dato ottimi risultati. Ma adesso molti che aiutavano hanno perso il lavoro e hanno bisogno a loro volta di essere aiutati. Qualche giorno fa il giovane responsabile mi diceva: “Le riserve sono finite e le richieste aumentano. I pezzi aumentano continuamente. Una bombola di gas da cucina da 13 kg costa il 10% dello stipendio base (che è ciò che la maggioranza guadagna) e un litro di benzina è l’1,3%. Cosa possiamo fare? Potrei continuare a raccontarvi altre situazioni di miseria. Potrei dirvi che dal punto di vista del traffico di droga e della violenza stiamo vivendo una falsa pace perché proprio questa zona dove lavoro è stata scelta come zona di propaganda dal potere parallelo delle milizie che nelle prossime elezioni vogliono allargare il loro potere politico.

Mi direte: cosa pensa la gente, come reagisce? La gente ha perso il senso di cosa sia una vita con dignità. Non vive, cerca di sopravvivere E per sopravvivere si aggrappa a qualsiasi illusione e all’individualismo. E allora mi domanderete: tu, come missionario cosa ci stai a fare? Resisto come la voce che grida nel deserto per aiutare altri a resistere, le Comunità ecclesiali di base che compongono la parrocchia. Aggiungerete: sembri molto pessimista. No, non lo sono. Come Gesù nella sinagoga di Nazareth sono convinto che stiamo vivendo un tempo di grazia. Il mondo costruito sul denaro sta cadendo a pezzi, sta facendo moltitudini di martiri, ma il nostro Dio è il Dio della vita e sotto la guida di Papa Francesco invita tutti i discepoli di Gesù a mettersi per strada a camminare con Gesù per costruire un mondo nuovo, diverso, “cieli nuovi e terra nuova”. Questo è il Sinodo, il vero Sinodo. Sinodo non per salvare le nostre sicurezze, i nostri privilegi, ma per unirci tutti come discepoli di Gesù e metterci a lavorare nella costruzione del progetto di vita che Dio ha sognato per tutto ciò che ha creato fin dall’inizio.

Tutti nella Chiesa dobbiamo riscoprire il senso della missione, tutti dobbiamo sentirci missionari, non importa dove. L’amore per la missione deve bruciare dentro ogni cuore che dice di amare Gesù. Non si ama Gesù se non si accetta il motivo per cui lui è venuto a vivere tra noi ed è morto in croce: “Perché tutti abbiano la vita e l’abbiano in pienezza!”.

Padre Luigi Bruno

Quando vi ho scritto pensavo di essere troppo pessimista perché vedo solo ciò che succede nell’estrema periferia, ma ieri (13 ottobre) il giornale “Folha de S. Paulo” ha pubblicato queste due notizie.

Venti milioni muoiono di fame
Quasi 20 milioni di brasiliani dicono di passare 24 ore o più senza cibo, in alcuni giorni, e 24 milioni e mezzo non hanno certezza di come si alimenteranno giorno per giorno. Altri 74 milioni vivono nell’incertezza di finire in questa situazione. Più di metà (55%) dei brasiliani soffriva di qualche tipo di insicurezza alimentare (grave, moderata o leggera) nel dicembre 2020, secondo un sondaggio della Rete brasiliana di statistica sulla sicurezza alimentare e nutrizionale.
Dal 2014, secondo la Fgv Social (Fondazione sociale Getúlio Vargas), la rendita familiare pro-capite è diminuita in media da 249 reali mensili (equivalenti a 40 euro) a 172 reali (equivalenti a meno di 30 euro) nella metà più povera del Brasile. Secondo l’Istituto di programmazione tributaria brasiliano, al contrario di molti paesi africani il Brasile non ha cambiato la sua struttura tributaria: il peso delle imposte sui generi alimentari in Brasile è del 22,5% a fronte di una media mondiale del 6,5%.

In dieci anni raddoppiato il numero delle favelas
Una stima dell’Istituto brasiliano di geografia e statistica indica che il totale degli “agglomerati sotto-normali” (favelas, palafitte, etc.)  è aumentato da 6.329 (in 323 comuni) a 13.151 in 739 città dal 2010 al 2019. Secondo questo studio una ogni quattro di queste case precarie è ubicata negli stati di S. Paulo e di Rio de Janeiro, ma la proporzione è maggiore in città come Belém (55,5% del totale delle residenze), Manaus (53%) e Salvador de Bahia (42%). Il Brasile sta diventando un paese circondato da favelas.

Tratto da La fedeltà online