Più coraggio sulla strada della corresponsabilità laicale. Un’occasione per immaginare nuove forme di Chiesa

Se prendiamo in considerazione solo i numeri non c’è scampo. La diocesi di Fossano, tra le più piccole d’Italia, deve fare i conti con un territorio ristretto (275 chilometri quadrati e 41mila abitanti) e, soprattutto negli ultimi anni, con un numero di sacerdoti ridotto che opera in diocesi. I preti incardinati sono 37, ma undici prestano il loro servizio fuori diocesi, come sacerdoti “fidei donum” in altre terre o come vescovi (è il caso di mons. Giorgio Lingua, Nunzio apostolico a Cuba, e di mons. Derio Olivero, Pastore a Pinerolo). Di fatto quelli che operano in diocesi sono 32: 26 fossanesi, insieme a 6 provenienti da altre comunità diocesane.

Un clero che è caratterizzato da un’età media molto avanzata, che raggiunge i 72 anni. Con una prospettiva che inchioda: fra un decennio, i sacerdoti con meno di 75 anni saranno solo dieci. È questo il vero problema, già evidenziato nel maggio scorso quando si prospettava in diocesi l’ennesima redistribuzione di incarichi e parrocchie.

Pur essendo piccola, tuttavia, la chiesa fossanese nel passato anche recente ha dato al mondo numerosi sacerdoti, religiosi, religiose, vescovi, ma la vena aurifera delle vocazioni consacrate negli ultimi decenni si è quasi totalmente prosciugata. Pochissime le ordinazioni, meno ancora i seminaristi che studiano teologia e si preparano al sacerdozio (al momento sono due).

Certo, da alcuni anni si è ridato vigore al diaconato permanente e si insiste molto sulla corresponsabilità laicale, sulla scia della ecclesiologia del Concilio Vaticano II. Ma le comunità parrocchiali, salvo lodevoli eccezioni, orbitano ancora saldamente attorno alla figura del prete. Vuoi perché i sacerdoti a volte fanno fatica a mollare la cura di molti aspetti (amministrativi, economici, gestionali…) che non sono strettamente attinenti al proprio ministero, vuoi perché – diciamolo francamente – di laici e laiche che assumano consapevolmente la conduzione di una parrocchia se ne vedono ancora pochi. E a quei pochi, comunque, non si dà fiducia che possano guidare a pieno titolo una comunità.

Insomma, c’è una forma di Chiesa, quella tridentina, che sta tramontando (e in alcuni contesti maggiormente segnati dalla secolarizzazione è ormai defunta). Pensata e organizzata a metà del Cinquecento su una base territoriale (la parrocchia) e incentrata su una figura (il sacerdote), il modello di Chiesa disegnato all’indomani della crisi protestante è stato capace di elaborare forme durevoli di trasmissione della fede e di strutturare in modo fecondo la vita dei cattolici per quasi cinque secoli. Ora però, in un mondo radicalmente mutato, anche nelle nostre terre, si fatica a intravvedere il nuovo.

È in questo contesto che va situata l’unificazione delle diocesi di Fossano e Cuneo che la settimana scorsa ha subito una significativa accelerazione. Prima un’assemblea di sacerdoti e diaconi (con voto esplicito), poi il Consiglio pastorale unificato (senza un voto formale) hanno dato parere sostanzialmente favorevole al processo che entro alcuni anni dovrebbe portare alla creazione di un unico organismo giuridico-territoriale. La riorganizzazione territoriale può rappresentare una bella opportunità per un rinnovato annuncio del Vangelo nelle nostre terre. A condizione che entrambe le diocesi provino a costruire un nuovo modello di Chiesa e non si limitino a replicare quello attuale su scala più vasta, quasi fosse solo un problema legato alla carenza di preti.

Inoltre, occorre procedere senza forzature, cercando un punto di equilibrio tra due realtà che hanno alle spalle una storia diversa: la diocesi di Cuneo venne istituita duecento anni fa, quella di Fossano ha oltre quattro secoli di vita (seppure sia stata temporaneamente soppressa in epoca napoleonica per poi rinascere più piccola, dopo aver ceduto parte dei territori a Saluzzo e a Cuneo); la prima ha un territorio sei volte più grande della seconda e una popolazione tripla. Oltre ai numeri, come ha sottolineato il vescovo Delbosco, ci sono le specificità e le ricchezze di ognuna, che vanno salvaguardate e valorizzate, individuando le forme pastorali più adeguate. Evitando soprattutto che l’unificazione si riduca ad un’annessione.

Carlo Barolo, vice direttore “La fedeltà”