Pensieri in libertà di un diacono permanente

Con la nomina di don Derio a Vescovo di Pinerolo, viene a meno alla Diocesi di Fossano un presbitero, e alla Città un uomo che ha saputo spendersi anche al di là del perimetro ecclesiale. In una stagione in cui la crisi non tocca soltanto il lavoro e l’economia ma anche le vocazioni sacerdotali, la scelta di Papa Francesco rischia di complicare una situazione già di per sé difficile, considerato il numero dei preti diocesani presenti; uomini generosi e tenaci che nonostante qualche acciacco dell’età, si spendono per il bene di tutti, e ai quali va il nostro affetto. In questo “quadro” però, l’assenza di uno di loro non è solo questione di cornice ma di contenuto: l’ultima pennellata dell’artista rovina oppure porta a compimento la pittura?

Se da una parte la nomina a Vescovo è la conferma più evidente della bontà dello stile e delle felici intuizioni di don Derio, dall’altra per la nostra Chiesa si inaugura un tempo inedito, la cui principale caratteristica è quella di essere una “sfida”, nel senso usato da Amoris Laetitia in riferimento alla famiglia, cioè non una minaccia incombente, ma paradossalmente una “buona opportunità”. Dove intravedere gli spazi di questo confronto?

Certamente nel prossimo autunno la Diocesi di Fossano sarà chiamata a ripensarsi: è un lavoro che ha già conosciuto nel recente passato una serie di dibattiti e di proposte, che la paura del cambiamento e delle novità aveva frenato, ma che ora è necessario riprendere con urgenza in mano. Il lavoro già svolto potrà essere integrato dall’eredità che don Derio lascia: più che conservare l’esistente oppure illudersi di ripristinare un mondo e un linguaggio che non ci sono più, il suo agire è stato animato dal porre in essere relazioni ed occasioni di incontro dentro e fuori la compagine ecclesiale, regalando fiducia a “chi è dei nostri” ma anche a chi non lo è, e osando sperimentazioni nel segno di una umanità comune con chiunque (penso ai progetti legati all’arte, alla musica, alla poesia, al teatro, alla fotografia, alla scuola, ai giovani, al Museo e alla cultura, agli emarginati, al lutto, alle persone separate, alle coppie in nuova unione…, e le collaborazioni col Comune e con diverse realtà associative presenti nel territorio). Il tutto per camminare accanto agli uomini e alle donne, e offrire loro “una speranza sempre”, il cui volto i credenti dicono essere quello di Gesù Cristo.

L’accelerazione che ora è richiesta alla nostra Chiesa, dovrà essere ancora di più rispetto al recente passato, nel segno di una responsabilità reale da affidare ai laici, uomini e donne con una famiglia e un lavoro, che sulla base delle proprie competenze e disponibilità, abbiano l’audacia di essere parte attiva della comunità ecclesiale, non ripetendo schemi del passato o passando il tempo a discutere dell’orario della Messa, ma intercettando la vita concreta delle persone, cioè gli affetti, le passioni, il lavoro, lo sport, le speranze, i dolori, i sogni, … per annunciare la buona notizia del Vangelo. Non un compendio di dottrina o di morale, ma “una testimonianza sulla persona di Cristo, attraverso un volto amichevole di Chiesa tra le case, nella città”, capace di accompagnare i giorni facili e quelli più difficili della storia di ognuno. Una responsabilità questa da gestire in comunione con Vescovo e presbiteri, però mossa non tanto dalla paura di sbagliare o di essere rimproverati dal parroco, piuttosto dal timore di non azzardare abbastanza, come Papa Francesco insegna!

Personalmente coltivo il sogno ascoltato al Convegno Ecclesiale di Firenze, quando dal tavolo di lavoro dei giovani era emersa una idea folle quanto geniale: «costituire un piccolo drappello di esploratori del territorio, che non si perdano in ampollose analisi sociologiche o culturali, ma si impegnino ad incontrare le persone, soprattutto nelle periferie esistenziali dove l’uomo è marginalizzato».

Ad “uscire” è l’esploratore che mira alla vetta pur non vedendola ancora, non la sentinella impegnata a difendere ciò che ha sotto il naso; in altre parole, non è più possibile cedere al lamento o al rimpianto dei bei tempi andati perduti, e tantomeno sedersi lungo la riva del fiume ad aspettare che altri mettano mano ai problemi e li risolvano al nostro posto.

E’ un cambiamento di prospettiva che siamo chiamati ad agire, ed è proprio questo lo stile che Papa Francesco ha apprezzato di don Derio, “purtroppo” per noi di Fossano e per fortuna degli amici di Pinerolo: non qui, più in là!