Pur non essendoci ancora studi scientifici a confermarlo, un’alta percentuale di uomini ha accompagnato almeno una volta nella vita la propria moglie o compagna a fare acquisti all’Ikea, una sorta di “paradiso” del genere femminile, un luogo dove un sogno diventa una cassettiera o un armadio, un tavolo o un lampadario. Una volta a casa, con le istruzioni in mano e armati di cacciavite e trapano, si è subito combattuta una buona battaglia: ricostruire ciò che si aveva acquistato smontato, arricchendo così l’ambiente domestico.
Pur non essendoci altri studi scientifici a confermarlo, esiste anche una bassa percentuale di uomini, in genere celibi, che quando commentano Amoris Laetitia, è come se andassero a fare acquisti all’Ikea ma in modo curioso: anziché acquistare un prodotto smontato per poi ricomporlo seguendo le istruzioni che sono fornite, preferiscono acquistare un mobile intero, smontarselo e ricostruirselo secondo la propria logica; il risultato però a volte è disastroso.

È quello che è possibile rinvenire nella recente pubblicazione “Amoris laetitia. Vademecum per una nuova pastorale familiare” ed. Cantagalli, a cura di alcuni docenti del Pontificio Istituto “Giovanni Paolo II”, i quali dopo aver velocemente liquidato teologi del rango di Walter Kasper, Giovanni Cereti, Basilio Petrà e Bernhard Haring, spiegano a pag. 16 la struttura della loro opera: “Per ragioni interne all’Esortazione, è il discernimento il principio maggiormente trattato nel capitolo ottavo, mentre le indicazioni sull’accompagnamento sono ben più esigue (…). Ecco perché ci è parso più appropriato variare l’ordine dei principi nella nostra esposizione e concludere con il discernimento. Così l’accompagnamento e l’integrazione costituiscono il quadro ecclesiale per qualsiasi discernimento affinchè sia veramente ecclesiale”.
Questa scelta, che sovverte l’ordine presente in Amoris Laetitia nel capitolo ottavo, cioè “accompagnare, discernere, integrare”, si accompagna ad affermazioni a dir poco sorprendenti, come quelle che denunciano l’assenza di una “chiarificazione autorevole” dell’esortazione, come se le istruzioni lì contenute fossero scritte in cinese, concludendo che: “In ogni caso rimane valido il principio generale che ogni interpretazione di Amoris laetitia, anche se fatta dal Papa, per essere vincolante deve sempre rimanere fedele alle parole del Vangelo e alla costante tradizione e insegnamento della Chiesa” (pag. 18), che tradotto vuol dire: “Amoris laetitia non può insegnare niente di diverso da ciò che è già stato scritto da qualche altra parte. Leggendo il testo, sei assalito da qualche dubbio? Cerca le risposte in ciò che abbiamo detto negli ultimi 35 anni”.

Ecco perché il punto irrinunciabile della loro esposizione riguarda le indicazioni presenti nella precedente esortazione di Giovanni Paolo II, la Familiaris consortio al numero 84, là dove si dice che i divorziati risposati, vivendo in contraddizione con il Sacramento del matrimonio che resta valido anche se ora si è abbandonato il coniuge, possono accedere alla Comunione solo se si impegnano a vivere astenendosi dai rapporti sessuali.
Gli autori smontano pezzo per pezzo il capitolo ottavo di Amoris Laetitia, e lo ricompongono a loro piacimento, accostandogli qua e là elementi fuori contesto tratti del magistero dei Papi precedenti e da una certa Tradizione, attribuendosi così il ruolo di “novelli padri sinodali e pontefici”, finendo però per capovolgere il testo che vorrebbero commentare.

Alcune affermazioni destano meraviglia, e fanno sorgere il dubbio che gli autori abbiano mai incontrato coppie in nuova unione: “Sebbene l’unione con il coniuge, in alcuni casi, non si possa ristabilire, è meglio non parlare di situazioni irreversibili: la decisione di vivere in modo contrario al vincolo coniugale è, infatti, sempre reversibile” (pag. 93).
Altre invece sono false e tendenziose: “Amoris laetitia è tornata alla terminologia di caso irregolare che si era cercata di evitare nei Sinodi” (pag. 73), oppure paradossali: “Come ci ricorda Papa Francesco già in Evangeli Gaudium, l’Eucarestia non è un premio per i perfetti. In altri termini, la Chiesa non afferma che coloro che ricevono la comunione sono perfetti, né che debbano considerarsi migliori degli altri” (pag. 102).
Fino al punto di scrivere: “Infatti, la stessa impossibilità di ricevere la comunione è una medicina per i divorziati risposati nel loro cammino verso l’integrazione (…) è chiaro che se si accostassero alla comunione darebbero un cattivo esempio: i giovani capirebbero che il loro amore non è per sempre, che ci sono casi in cui la Chiesa smetterebbe di lottare per difendere il loro vincolo” (pag. 117).

La lettura di questo saggio lascia davvero affranti; possa la sapienza dell’Ikea offrirci gli strumenti per ricomporre ciò che in questo testo è andato definitivamente perduto.