Domenica 4 ottobre, con la Messa celebrata in San Pietro, ha avuto inizio l’Assemblea Generale del Sinodo dei Vescovi sul tema «La vocazione e la missione della famiglia nella Chiesa e nel mondo contemporaneo».

È l’ultima tappa di un lavoro durato due anni, che ha coinvolto le comunità locali e ha già visto riunita, un anno fa, una rappresentanza di Vescovi per un primo Sinodo straordinario sullo stesso argomento. In questi giorni, 270 padri sinodali – 74 cardinali, 181 vescovi, 2 parroci e 13 religiosi – insieme a una novantina tra esperti e uditori, comprese alcune coppie di sposi, discuteranno attorno alle grandi questioni che toccano la famiglia, perché continui ad essere “buona notizia” per ogni uomo e ogni donna, alla luce del Vangelo e all’interno della Tradizione viva della Chiesa.

Le tre settimane saranno dedicate ciascuna al dibattito di tre grandi temi, a partire dai quali verranno elaborate conclusioni sotto forma di “proposte non vincolanti al Papa”, il quale scriverà successivamente una Esortazione Apostolica: “L’ascolto delle sfide sulla famiglia”, “Il discernimento della vocazione familiare”, “La missione della famiglia oggi”. Francesco ha scelto di dare più spazio al lavoro dei piccoli gruppi, i cosiddetti “circuli minores”, adesso aumentati di numero e che vedranno pubblicati i risultati delle loro discussioni.

Come l’anno scorso, Francesco vuole un dibattito schietto; mentre scriviamo è in corso l’apertura dei lavori da parte del Papa, il quale ha appena detto: “Vorrei ricordare che il Sinodo non è un convegno o un “parlatorio”, non è un parlamento o un senato, dove ci si mette d’accordo. Il Sinodo, invece, è un’espressione ecclesiale, cioè è la Chiesa che cammina insieme per leggere la realtà con gli occhi della fede e con il cuore di Dio; è la Chiesa che si interroga sulla sua fedeltà al deposito della fede, che per essa non rappresenta un museo da guardare e nemmeno solo da salvaguardare, ma è una fonte viva alla quale la Chiesa si disseta per dissetare e illuminare il deposito della vita”.

Tutto questo nonostante le inevitabili forzature mediatiche che da oggi in poi non mancheranno, a partire dallo spropositato spazio dedicato dai quotidiani e dai social al  “coming out”, cioè “l’uscita allo scoperto” di mons. K. Charamsa, presbitero polacco con incarichi di servizio in Vaticano, dichiaratosi omosessuale e con un compagno, proprio alla vigilia dell’avvio del Sinodo, con tanto di conferenza stampa in “clergymane” (pantaloni, camicia, giacca nera col collettino bianco: il consueto abito del prete): una triste “messa in scena” confezionata ad arte, ma che probabilmente si rivelerà un boomerang per chi l’ha progettata.

Nelle parole di Francesco pronunciate alla veglia in piazza san Pietro sabato 3 ottobre, e nell’omelia della Celebrazione di apertura del Sinodo, è possibile rintracciare alcune coordinate entro le quali il Papa sembra voler chiedere ai Padri sinodali di inserire il loro contributo.

Innanzitutto il riferimento alla famiglia di Nazareth, “nella sua vita nascosta, feriale e comune, com’è quella della maggior parte delle nostre famiglie, con le loro pene e le loro semplici gioie”, con un compito preciso da sviluppare: “(il Sinodo) ricordi a queste famiglie, come a tutte le famiglie, che il Vangelo rimane “buona notizia” da cui ripartire. Dal tesoro della viva tradizione i Padri sappiano attingere parole di consolazione e orientamenti di speranza per famiglie chiamate in questo tempo a costruire il futuro della comunità ecclesiale e della città dell’uomo”.

Per mettere a fuoco cosa intende col “ripartire”, in pochi passaggi Francesco riprende alcune perle del Magistero dei 2 suoi predecessori, chiedendo ai Padri di “spingersi più in là”: ricorda che la Chiesa è certamente chiamata a “vivere la sua missione nella verità che non si muta secondo le mode passeggere o le opinioni dominanti”, e cita Benedetto XVI: «Senza verità, la carità scivola nel sentimentalismo». «L’errore e il male devono essere sempre condannati e combattuti – scriveva Giovanni Paolo II – ; ma l’uomo che cade o che sbaglia deve essere compreso e amato […] Noi dobbiamo amare il nostro tempo e aiutare l’uomo del nostro tempo».

Alla luce di questo orizzonte, Francesco indica il compito di oggi per i Padri sinodali: “La Chiesa è chiamata a vivere la sua missione nella carità che non punta il dito per giudicare gli altri, ma – fedele alla sua natura di madre – si sente in dovere di cercare e curare le coppie ferite con l’olio dell’accoglienza e della misericordia; di essere “ospedale da campo”, con le porte aperte ad accogliere chiunque bussa chiedendo aiuto e sostegno; di più, di uscire dal proprio recinto verso gli altri con amore vero, per camminare con l’umanità ferita, per includerla e condurla alla sorgente di salvezza. (…) Perché una Chiesa con le porte chiuse tradisce sé stessa e la sua missione, e invece di essere un ponte diventa una barriera”.
Entro queste coordinate, c’è spazio davvero per una proficua discussione: buon lavoro amati Padri!