L’esito paradossale ma inevitabile di una disciplina che Amoris Laetitia chiede di convertire.

In un paio di incontri promossi dalla Diocesi di Fossano in queste settimane, alla presenza di numerose coppie in nuova unione (cioè conviventi o unite in matrimonio civile dopo un divorzio), una considerazione ascoltata merita di essere ripresa con attenzione.

Una persona infatti ha raccontato: “Nel cammino personale di questi anni, ho imparato a valorizzare moltissimo la Parola di Dio nella Messa, cosa che nessuno mi può togliere, per cui il Signore mi può tranquillamente parlare anche se non sono “regolare”. Questo ha fatto venire meno in me, il grande desiderio iniziale di accostarmi alla S. Comunione”.
Un’altra invece: “Sento di più la mancanza della Riconciliazione che non della Comunione; forse ne avessi la possibilità, non farei la Comunione tutte le domeniche”.

Queste affermazioni, ascoltate con il testo di Amoris Laetitia tra le mani, risultano decisamente sorprendenti, in quanto Papa Francesco non esclude che un domani, dopo il faticoso lavoro del discernimento, alcune coppie in nuova unione possano essere nuovamente invitate a nutrirsi della “Cena del Signore”; ma allora perché qualcuno rinuncia già in partenza, anche solo all’idea? Amoris laetitia giunge quindi “fuori tempo massimo”?

Abbozziamo una possibile risposta attingendo brevemente dalla storia che abbiamo alle spalle: 35 anni fa, Familiaris Consortio al numero 84, raccomandava che divorziati/risposati fossero “esortati ad ascoltare la Parola di Dio, a frequentare il sacrificio della Messa, a perseverare nella preghiera…”, in quanto “non possono essere ammessi alla Comunione Eucaristica”, dato che “il loro stato e la loro condizione di vita contraddicono oggettivamente a quell’unione di amore tra Cristo e la Chiesa, significata e attuata dall’Eucaristia”.
Benedetto XVI in Sacramentum Caritatis al numero 29 li invitava a “coltivare, per quanto possibile, uno stile cristiano di vita attraverso la partecipazione alla santa Messa, pur senza ricevere la Comunione, l’ascolto della Parola di Dio, l’Adorazione Eucaristica, la preghiera…”.
Infine nell’ottobre del 2013, il Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede Card. Gerhard Ludwig Müller, precisava che: “La cura per i divorziati risposati non dovrebbe certamente ridursi alla questione della recezione dell’Eucaristia […] È importante ricordare, in proposito, che oltre alla Comunione sacramentale ci sono altri modi di entrare in comunione con Dio”.

Tutto questo porta a una conclusione inevitabile: fare la Comunione sembra essere una “appendice” all’esperienza cristiana, la quale appunto può darsi nella sua interezza al di là di essa, per cui che ci sia o che non ci sia, poco importa; un battezzato può realizzare l’incontro con Gesù Cristo senza la Comunione, ma “solo” ascoltando la sua Parola, pregando e compiendo la carità.
Esito paradossale della disciplina cattolica di fine ‘900, che affossa la Riforma Liturgica inaugurata dal Concilio Vaticano II°: l’ascolto della Parola non è più preludio allo spezzare il Pane! Ascoltare la Scrittura come d’altra parte “mangiare il Pane”, non sono più momenti di una Celebrazione dell’Eucarestia normata da una sequenza rituale, al cui apice “si apre la bocca” e non l’orecchio, come la stessa attestazione evangelica narra a più riprese.
Ai discepoli di Emmaus ad esempio, non sono bastati “fiumi di Parole” per riconoscere il Risorto, ma è stato necessario il Suo gesto e il Suo dono; la Parola quindi non gode di “autonomia e sufficienza” nella vita del battezzato, piuttosto è attestazione di una correlazione originaria con l’Eucarestia che prende figura nella sua Celebrazione.
In un rito appunto, gesti e parole che la comunità cristiana ha ricevuto, e che ogni domenica non si stanca di ripetere, perché tutti siano “in comunione” e possano vivere di Lui e come Lui: nella vita di coppia e di famiglia, sul lavoro come con gli amici, nello sport come nel tempo libero e nelle esperienze comuni del vivere.

Fare la Comunione” in una dinamica rituale allora, è poter attestare la verità “dell’essere in comunione” con ogni credente nella Chiesa, perché l’esperienza cristiana non è qualcosa di intimistico ma sempre condiviso; “fare la Comunione” non è quindi gesto isolato dalla Celebrazione, ma dono che ogni battezzato è chiamato a ricevere dopo aver accolto la Parola, per divenire di volta in volta lui stesso “corpo di Cristo”, “parola di Cristo”, assomigliare cioè un poco alla volta e di più al suo Maestro.
La Parola è necessaria perché “forma” la Chiesa nella misura del suo Signore e non una virgola in meno, ma il Pane è altrettanto necessario perché “in-forma” la Chiesa stessa, la nutre dal di dentro a partire da ciascuno dei suoi membri, fosse anche divorziato risposato; se questi si privasse di tale nutrimento, con lui a tutta la comunità cristiana sarebbe sottratto alimento.

Ecco un compito in più che Amoris Laetitia ci chiede di svolgere, un mandato che non ci aspettavamo di avere ma che ora vogliamo onorare con coraggio: far riscoprire “l’odore del pane” a coloro che, forse a causa nostra, ne hanno dimenticato il buon profumo. Così facendo, noi stessi “coppie imperfette”, potremo ricevere un beneficio, entrando da persone adulte nella dinamica sorprendente che la Messa, o meglio la Celebrazione dell’Eucarestia, porta con sé.